Introduzione
Il nome latino del grande collettore padano era Padus, quello greco Pàdos. Fu chiamato anche Eridano con termine di origine greca attribuito pure ad altre fiumi europei.
Il Po è il maggiore dei fiumi italiani sia per lunghezza (km. 652) sia per ampiezza del bacino imbrifero (74.970 km2) sia per entità di portata.
Nasce nel versante orientale delle Alpi Cozie e percorre verso est l’intera Pianura Padana che ha contribuito a formare.
Il Delta è esteso tra la foce dell’Adige a nord e quella del Reno a sud, parte in territorio veneto (RO) e parte in territorio emiliano (FE) che il grande fiume attraversa dividendosi in cinque rami: di Maestra, della Pila, della Tolle, di Gnocca e di Goro.
Si getta infine nel Mar Adriatico con 14 bocche che versano in mare ogni anno circa 13 milioni di tonnellate di detriti accrescendo l’area deltizia di 60 ha.
Il regime del Po di tipo composito, caratterizzato da due massimi (in primavera ed in autunno) e due minimi (in inverno e in estate), è condizionato dalla diversità di regime dei suoi affluenti alpini ed appenninici, che danno origine a portate normalmente costanti con valori massimi in autunno e primavera.
Quest’ultime sono le stagioni nelle quali, nonostante gli imponenti lavori di arginatura, si sono verificate le piene più rovinose.
Le più grandi inondazioni nel XX secolo hanno, infatti, avuto luogo nella primavera del 1917, del 1926 e del 1957 e nell’autunno del 1928 e del 1951.
Le inondazioni furono causate da piogge ininterrotte e prolungate sull’intero bacino imbrifero, dalla diffusa impermeabilità dei terreni e dall’asincronismo nell’inizio delle piene da monte a valle.
L’opera dell’uomo è intervenuta a modificare profondamente il paesaggio del Delta Padano regolando il deflusso delle acque del fiume, costruendo numerosi canali, bonificando vasti comprensori prima coperti dalle acque lagunari.
Nel sottosuolo è presente il metano, ma l’estrazione che contribuiva ad un abbassamento progressivo del territorio è stata sospesa nel 1961.
Preoccupazioni sempre maggiori va suscitando il fenomeno dell’inquinamento del fiume con conseguente contaminazione delle reti di approvvigionamento idrico.
Cronaca dell’alluvione
Martedì 13 novembre 1951
L’innalzamento del livello delle acque del Po, conseguenza delle precipitazioni intense e continue che da giorni interessano l’Italia settentrionale ed in particolare il bacino imbrifero del grande fiume, suscitano viva preoccupazione nelle zone rivierasche del medio e basso corso. Il mare non riceve ed il Po supera il livello di guardia. Alle ore 8.00 del 12 novembre viene invasa dalle acque l’isola di Polesine Camerini nell’estremo Delta e circa 3.000 persone devono sfollare.
La cronaca locale di quei giorni così descrive la situazione nelle zone situate nel corso inferiore del fiume.
(Estratto da “Il Gazzettino di Rovigo” di giovedì 15 novembre 1951)
Nel Basso Polesine la situazione permaneva anche ieri quasi stazionaria mentre il livello dell’acqua subiva alternative di deflusso ed aumento in corrispondenza del moto di marea, alta anche ieri nell’Adriatico, ed ostacolante così, a periodi, il defluire del Po.
Purtroppo anche nella zona del Delta era temuto un peggioramento della situazione per la sempre più imponente massa d’acqua giungente dal corso superiore del fiume e tutte le speranze riposavano in una maggiore ricettività del mare.
Ovunque sotto la direzione dei tecnici del Genio Civile sono continuati i lavori di riparazione e rinsaldo di argini, di tamponamento di infiltrazioni e neutralizzazione di fontanazzi.
Intensa e continuata l’opera dei vigili del fuoco, dei carabinieri, dei barcaioli per il trasporto di evacuati, specie dall’isola Camerini da dove però una notevole parte della popolazione, benché con l’isola tutta allagata, continuava a rifiutarsi di evacuare intendendo rimanere a sorveglianza ciascuno del proprio tesoro: il risone già raccolto, il frumento per il pane di tutto l’anno. (…)
L’aumento di volume, nelle ultime 24 ore, del corso del Po ha causato altri allagamenti. (…)
Preoccupante la situazione nel bacino di Cavanella Po dato l’accertamento di infiltrazioni: qualche preoccupazione per il metanodotto che attraversa Villaregia.
A Corbola ( …) le acque del Po, tracimando prima e sfondando di poi gli arginelli di sostegno, sono penetrate nella grande golena sommergendo 80 campi. Ventiquattro famiglie che si trovavano nell’ex colonia fluviale, salite al primo piano, hanno preferito non abbandonare lo stabile e il sindaco ha provveduto a mantenere i collegamenti, per il rifornimento, con delle barche.
Altre 14 famiglie, per l’invasione della golena a valle del ponte di Corbola sono state evacuate e sistemate nelle scuole e nell’ex casa di ricovero (…)
Da S. Maria ad Ariano (…) tutti gli abitanti con ogni loro roba e bestiame, si sono trasferiti lungo la strada (…)
Ovunque si possono vedere masserizie accatastate, derrate della riserva familiare, bestiame, ecc. sotto la protezione dei capifamiglia armati del fucile da caccia.(…)
Impossibile per ora una stima dei danni che indubbiamente sono, per tutto il Polesine, dell’ordine di molte centinaia di milioni. Basti dire che nella zona del Delta basso polesano oltre 5500 ettari di terreno sono stati sommersi:1980 a Polesine Camerini con oltre un centinaio di questi a grano già germinato, ed ora coperti tutti in gran parte d’acqua di mare con danno gravissimo anche futuro alle culture.
Mercoledì 14 novembre 1951
(Da “Il Gazzettino” del 15 novembre 1951, estratto da articolo di Luciano Bergamo)
Alle 20 di questa sera, per tre grandi falle negli argini maestri del Po, prodottesi nella zona di Occhiobello, valanghe di acqua si riversarono nell’Alto Polesine, progressivamente allagando tutta la zona che, tra il Po, la fossa di Polesella e il Canal Bianco, si estende per 40 mila ettari, migliaia e migliaia dei quali già con il grano germinato, verdissimo e promettente.
Il Po che in tale zona, a monte di Pontelagoscuro, aveva tracimato alle 14.05, rendendo vane le opere di emergenze costruite durante la notte e la mattinata (…) riusciva ad aprirsi la via verso la bassa campagna con larghe falle in località Mercantone e in località Bosco di Occhiobello (tra questo paese e Santa Maria Maddalena, di fronte a Pontelagoscuro) e ad un chilometro a valle di Santa Maria, in località Vallone di Canaro; brecce enormi incontenibili, l’ultima di circa 150 metri di ampiezza.
Il grande panico che, fin dalle prime ore del pomeriggio aveva preso le popolazioni, si è tramuto in disperazione; nella notte ormai fonda, si infittivano le file interminabili di gente in fuga con appena qualche striminzito fagotto, o con niente, o anche con meno di niente, appena vestita a mezzo tanto era stato lo spavento e l’impulso della fuga immediata.
L’acqua in volume tale da determinare a valle una immediata diminuzione di 10 centimetri del livello del fiume (livello che a Polesella a quella ora aveva già superato di circa80 centimetri quello della massima piena che si ricordi, verificatasi nel 1928) si spandeva fortunatamente frenata da una immensa rete di canali e di argini (…)
Da Canaro, da Vallone, da Garofolo, da Frassinelle e da altre località più vicine affluivano intanto a Rovigo a centinaia e centinaia gli alluvionati, spaventati piangenti (…)
Si attendevano entro la notte duemila alluvionati, mentre altre migliaia dai comuni di Castelmassa, Melara, Bergantino, Pincara, ecc. venivano avviati verso il territorio mantovano e veronese e altri verso i comuni oltre Canal Bianco.
Impossibile valutare l’immensità del danno; il Polesine vive ore tremende e alle migliaia di alluvionati del Delta Po si aggiungono ora queste altre migliaia che tutto rischiano di perdere. Non si hanno finora segnalazioni di disgrazie umane. All’interruzione del traffico sulla statale n. 16 da Rovigo a Ferrara, attuata fino da ieri mattina, alle 17 è seguita anche quella dei servizi ferroviari sulla Rovigo-Bologna poiché il transito sul ponte ferroviario di Pontelagoscuro e lungo la zona alluvionata, da Canaro a Occhiobello, è impossibile.
Tutti gli autoservizi in partenza verso sera dal capoluogo per i paesi della provincia sono stati requisiti: a Rovigo sono perciò rimaste bloccate anche molte persone che non hanno potuto raggiungere la loro residenza in provincia. Per tutta la notte si sono uditi ancora, lontano, sonare a stormo i campanili delle parrocchie, ai bordi della grande pianura inondata.
Giovedì 15 novembre 1951
La cronaca del giorno successivo registra la tragedia avvenuta nei pressi di Frassinelle nella notte tra il 14 e 15 Novembre. Decine di persone che si trovavano in un camion annegarono nelle acque dell’inondazione. Un bilancio definitivo delle vittime (84) fu possibile solo quattro mesi dopo.
(Da “Il Gazzettino” di venerdì 16 Novembre 1951, estratto da articolo di Gino Fantin)
Era parso un miracolo. Era sembrato che il grande nemico si fosse dato nella sua furia un limite di rispetto. Era parso, insomma, che egli volesse attuare più che una vendetta una rivendicazione.
Una rivendicazione – per quanto tremenda – sui beni che per anni e anni era andato distribuendo agli uomini sulle sue sponde ubertose, non una vendetta sanguinosa.
Per questo nell’immane disastro c’era in fondo, fino a ieri, quasi un senso di sollievo, invece.
Il camion parti da Rovigo a mezzanotte. Era stato requisito alla vetreria Baccaglini, sotto sera, quando le notizie dai lontani argini del Po avevano annunziata una situazione insostenibile.(…)
Il viaggio fu subito avventuroso. Giunti verso Villamarzana e poi al Canal Bianco, le strade facevano spavento, mettevano i brividi. Una teoria infinita di pianti, una fila interminabile di carri e di carriole carichi di donne, di bimbi, di masserizie. (…)
Dietro i carri, a intasare le strade, un procedere lento di buoi, di vacchette, di cavalli spinti avanti da irose bastonate e da urla isteriche.
Il camion andava avanti perché più lontano altri più esposti al pericolo attendevano un soccorso. Ma a Frassinelle l’acqua montante, vertiginosamente, dirotta l’automezzo su un cascinale dove erano concentrate, sbigottite, circa trenta persone.
Il carico si effettuò convulsamente: qualcuno voleva restare e voleva partire nello stesso tempo. Guardava la sua terra la sua casa200 metripiù in là e non sapeva decidersi a staccarsene.
Finalmente, sulle tre di notte l’autocarro prese la via del ritorno; era rimasto, agli indugi, inesorabilmente attardato. L’acqua gli montava alle spalle con un crescendo impressionante, le ruote scavavano nel fango, il motore faticava.
In tre chilometri la catastrofe.
Improvvisa l’ondata si profilò anche davanti: la piena della seconda “rotta” aveva aggirata la posizione e congiungeva le sue masse. Il camion fu bloccato in un istante. In pochi istanti l’acqua fu sopra le ruote. Quel che è successo dopo i sopravvissuti lo ricordano come un incubo straziante.
Oltre al tragico fatto la cronaca si sofferma a descrivere l’evolversi della situazione che va via via aggravandosi.
(Da “Il Gazzettino” di venerdì 16 Novembre 1951, estratto da articolo di Gino Fantin)
La piena, raggiunte le trincee del Canal Bianco, alto sette metri, le ha spezzate in due punti. Le brecce sono state aperte a monte e a valle del PonteLa Roccaa meno di un chilometro da Arquà Polesine. Avevano al momento dello schianto l’ampiezza di una ventina di metri. (…)
In un baleno la nuova massa ha ingrossato a dismisura il Canal Bianco e poco dopo questo ha attaccato l’argine e lo ha rotto anche a Sant’Appolinare con una breccia di una decina di metri. E sempre verso nord, sempre verso Rovigo.
Il comprensorio è ormai svasato. La minaccia si è estesa in su, alla volta dell’Adige, nella zona più popolosa del Polesine. (…)
Invano nella tarda mattinata premendo gli eventi, il Genio Civile aveva tagliato la “fossa” di Polesella. La fossa è uno scavo collettore di modeste proporzioni che unisce il Po al Canal Bianco e serve alla distribuzione delle acque per l’irrigazione. Tagliando la fossa si pensava di avviare in extremis la piena verso il basso Polesine, di ricondurla quasi alla foce del Po, di istradarvela magari, si pensava comunque di spingerla a mare, con il male minore.
Ma l’acqua non ha accettato l’invito (…)
E ora avanza su entrambi i fronti verso il mare e verso il nord.
Il “Gazzettino di Rovigo” del 16 Novembre 1951, precisava che con il taglio della “fossa” si intendeva contenere l’alluvione nella zona polesana a sud del Tartaro-Canalbianco, dal confine della Provincia con il mantovano a Bottrighe, sotto Adria, e con speranza che parte dei paesi sia dell’alto che del medio Polesine potessero venire almeno sottratti alla più grave conseguenza dell’alluvione.
Vengono fatti pervenire a Rovigo, con camion militari, con autocorriere e con automezzi requisiti a ditte e privati, migliaia di alluvionati saturando ogni possibilità di ricetto. Diviene quindi indispensabile organizzare il trasferimento degli alluvionati in altri luoghi di accoglienza.
(Da “Il Gazzettino di Rovigo” del 16 Novembre 1951)
Quest’oggi saranno effettuati due treni speciali per Verona e Padova a disposizione degli alluvionati.
Nella giornata di ieri secondo le ultime segnalazioni ne sono stati avviati in provincia di Padova circa settemila e mille a Verona. Altri saranno avviati quest’oggi a Vicenza e a Venezia.
Venerdì 16 novembre 1951
L’acqua avanza verso Rovigo ed Adria.
(Estratto da “Il Gazzettino di Rovigo” del 17 Novembre 1951)
A memoria d’uomo situazione così tragica non si ricorda. Vi fu la tremenda rotta dell’Adige dell’82 che seminò gravi distruzioni, ma in misura indubbiamente assai minore di questo immenso flagello che il Po ha voluto infliggere al Polesine. Piene paurosissime, si, vi furono nel ’17 e nel ’26, ma rotte del Po quale quella che ha ora colpito la nostra provincia, bisogna andare a ricercarle forse soltanto nelle antiche storie che raccontano della rotta di Ficarolo di più secoli fa. Certamente oltre la metà dell’intero Polesine è inondata dal Po. Aggiuntasi l’acqua del Canalbianco, che le valli veronesi alimentano. Rovigo stessa è attanagliata dalla rotta che rovescia migliaia di metri cubi al secondo per ogni via.(…)
E ieri notte, stamane, quest’acqua terribile s’è stretta ancor più attorno alla città capoluogo pur non cessando di allargare le sue ondate a tante e tante zone ad ovest ed ad est della provincia.
Per tutta la notte gran parte di Rovigo ha vegliato. Per la rotta di Sant’Apollinare del Canalbianco e di Arquà Polesine, l’allagamento aveva ormai raggiunto l’argine del Naviglio Adigetto, alla immediata periferia della città ed anzi tagliante a mezzo alcuni suoi quartieri (…)
Alla Tassina, al Bassanello, a Belfiore, al Sottopassaggio fin dalle prime ore del giorno andava estendendosi ed aumentando l’allagamento. (…)
Alla mezzanotte in città dall’argine destro del’Adigetto l’acqua tracimava abbondantemente in più punti e cioè dal Ponte Marabin al ponte dei Frati. Dal Bassanello l’acqua avanzava verso il centro cittadino con previsione di allagamento di una larga zona centrale entro poche ore.
Continuamente veniva fatto invito alla popolazione a sfollare la città concentrandosi alla stazione ferroviaria. Ai margini della zona periferica di allagamento, fervidissimo ancora il lavoro di erezione di coronelle con sacchi a terra. Coloro che hanno deciso di rimanere in città sgombrano i piani terreni. Davanti alle porte delle abitazioni gli inquilini dispongono trincee di sacchi; molti hanno addirittura tappato le porte per l’altezza di circa un metro con un muretto a mattoni di cemento.
I tecnici del Genio Civile ritengono che l’allagamento di Rovigo, in ogni caso, non sarà di altezza pericolosa.
(…)
Alle 23 Adria segnalava l’acqua ad appena 300 metri dal centro della città: rimaneva aperta soltanto la strada per Cavarzere ma con probabilità di imminente chiusura al traffico per allagamento. L’acqua montava con violenza: a nord alla stazione e in località Bortolina; a sud alla Chiappara.
Alcuni corti circuiti facevano presumere che presto sarebbe venuta a mancare la luce. Si segnalava la necessità di torce a vento e di un anfibio di salvataggio.
A Cà Emo alla stessa ora circa 300 persone risultavano isolate mentre cominciava a verificarsi qualche crollo.
(Estratto da “Il Gazzettino” del 17 novembre 1951)
Stasera alle 17 è stato ordinato lo sgombero dei pianterreni della città (Rovigo) ed è stato consigliato alla popolazione di evacuare l’abitato portandosi oltre l’argine dell’Adige. Cento grossi automezzi – tutti quelli che si sono potuti racimolare – sette tradotte e vari treni speciali, nonché altri autoveicoli sono stati posti a disposizione dei cittadini: E’ stato disposto perché Padova accolga diecimila persone.
Sabato 17 novembre 1951
Si aggrava la minaccia su Rovigo per cui a mezzanotte viene dato l’ordine di sgombero.
(Estratto da “Il Gazzettino” del 18 novembre 1951)
Alle 24 tutti gli altoparlanti dislocati nei punti strategici della città di Rovigo hanno trasmesso il seguente annuncio: “In seguito all’ampliarsi della frana determinatasi in località San Sisto Buso si ordina a tutti i cittadini di abbandonare immediatamente la città con tutti i mezzi a disposizione, anche a piedi. Essi devono dirigersi verso Boara Pisani ove troveranno autocolonne che li avvieranno verso Padova.”
Adria è invasa dalle acque e rimane completamente isolata.
(Da “Il Gazzettino” del 18 novembre 1951, estratto da articolo Gino Fantin)
L’allarme disperato che si era preveduto per tutta una notte insonne sugli argini dell’Adigetto è venuto invece dalla Bassa Polesana. Era, a pensarci una cosa quasi logica. (…)
Si sapeva che Adria era premuta dalle acque, si sapeva che la strada di deflusso al mare doveva essere quella. Soltanto che l’inferno di Rovigo aveva preso un po tutti, perché era l’inferno della minaccia più vicina e pressante. Ma in ventiquattro ore la situazione si è inesorabilmente scontata. Rovigo ha resistito. Adria attaccata dalla marea da ogni parte è isolata, bloccata, sommersa. (…)
L’acqua cominciò a montare intorno a Adria ancora ieri sera. Veniva dalla fossa di Polesella dove gli argini tagliati dal Genio Civile ai primi giorni dell’inondazione per evitare l’allagamento a nord del Canal Bianco si erano largamente sfaldati.
Oggi all’alba i ventimila rimasti nell’abitato non avevano aperta che la via di Cavarzere. Non ne approfittarono. E’ così difficile adattarsi ad abbandonare la propria casa! A Mezzogiorno anche quella strada era tagliata; l’acqua serrava sotto sulla città riducendo progressivamente il cerchio dell’assedio. Due chilometri, un chilometro, poi fu fatto un lago. Intanto di casa in casa per la furia della marea, si spargeva il panico. Qualche famiglia era realmente in pericolo. (…)
Si organizzarono delle cordate a nuoto in mezzo ai vortici, qualche coraggioso si avventurò, assicurato con corde, nel salvataggio di alcuni uomini, di molte donne e bambini. Furono concentrati al Teatro Sociale. In un teatro non ci sono viveri. Neppure in tutte le case ci sono viveri.(…)
Ventimila persone dicevamo, sono asserragliate nell’abitato. Il loro numero imponente costituisce di per se un problema gravissimo per l’opera di soccorso.
(Estratto da “Gazzettino di Rovigo” del 18 Novembre 1951)
Finalmente, dopo tante angosce e attese, in serata di ieri una fiaccola di speranza per risolvere la ormai tragica situazione di Adria è venuta da quelle alte autorità del Governo, della Provincia, delle forze armate che mai un momento avevano trascurato ogni sforzo per riuscire nella, purtroppo, difficile impresa.(…)
Abbiamo già dato notizia di quello che è stato l’inizio di allagamento di Adria. Un’ondata di tre metri si era riversata con la massima violenza in via Chiappara e si era allargata nel centro cittadino raggiungendo il retro della Cattedrale e successivamente Piazza Garibaldi.
La zona della stazione registrava un’altezza d’acqua di metri 1,40. Nel pomeriggio di ieri al Duomo metri 1,20. Lo stesso Corso del Popolo era interrotto in tre parti formando altrettante isole divise da canali profondi. La notte era stata di terrore. Una parte della città per l’allagamento di una cabina elettrica era rimasta senza luce. Non v’erano fiaccole, non v’erano altri mezzi di illuminazione. Nel buio si alzavano da ogni parte grida d’angoscia, implorazioni di soccorso. Non v’era alcun mezzo per raggiungere i disgraziati in grave pericolo (…)
Ed allora alcune squadre di animosi, muniti soltanto di corde onde, all’uso alpino, costituire cordate di sicurezza, si gettarono in aiuto di quanti era possibile loro raggiungere entro le case che non offrivano resistenza od erano di poco più alte, in certi punti, all’imponenza dell’ondata e meno resistenti alla corrente velocissima ed ai vortici che ovunque si producevano. (…)
Nelle frazioni di Cà Emo, di Magnolina, di Fasana, di Botte Barbarigo e Fossa, in località tiro a segno uguali condizioni. Gente sui tetti delle case, gente sull’alto dei fienili tutti imploranti soccorso. Per la strada di Loreo erano entrati ad Adria 150 soldati. Vi rimasero bloccati. Furono essi soltanto che con pochi volenterosi lavoravano quanto più possibile a tentare la protezione del centro adriese.
Nel pomeriggio la zona del centro urbano non allagata aveva un raggio massimo di 500 metri. Fino ad allora purtroppo nessun soccorso di alcun genere aveva potuto raggiungere Adria. Si calcola che dalle 15 alle 20 mila persone tra centro e frazioni ne avessero estremo bisogno.
Domenica 18 novembre 1951
Mentre a Rovigo diminuisce il pericolo di inondazione ad Adria inizia il salvataggio e si prevede lo sfollamento degli abitanti.
(Da “Il Gazzettino” del 19 Novembre 1951, estratto da articolo di Gino Fantin)
Il primo anfibio di soccorso è giunto a Adria – da 24 ore completamente isolata – alle 12.30 di oggi. Era partito da Cavarzere per fare da staffetta a tutti gli altri mezzi di soccorso concentrati presso il paese (…)
Ci si attaccò ai coraggiosi che arrivavano. (…)
E sembrava in realtà che essi riportassero la vita. Prima era stato tutto un dramma. L’acqua – tolta la piazza Garibaldi che è la sola anche adesso a essere sgombra – si era alzata mano a mano dintorno fino a un metro; peggio: era salita verso la periferia sino a raggiungere i due metri. E aveva stretto un’insidia implacabile. Non tutti avevano saputo resistere a questa insidia, quando l’orologio si ferma e le ore non passano più, quando le poche scorte familiari di viveri non sembrano più sufficienti, quando la luce viene a mancare, quando i bambini si mettono a piangere. E alla periferia erano cominciate a giungere le prime urla di soccorso e schioppettate di richiamo. La paura è contagiosa: si era diffusa di casa in casa, propagandosi anche nelle abitazioni verso il centro dove la stretta dell’acqua era assai meno impressionante. Poi si era diffusa la notizia che qualche edificio era crollato (…)
Si ebbe l’angoscia. Le squadre di aiuto intensificarono allora la loro opera. I volontari moltiplicarono lo sforzo e l’operazione riuscì. (…)
Nella tarda mattinata il centro della città era quasi saturo di scampati: in Municipio, al Teatro Comunale e al Teatro Massimo. Pericoli imminenti nella periferia non se ne segnalavano più.
Ma era subito pronta una nuova angoscia. Mancavano i viveri. Mancava soprattutto il latte per sfamare oltre 1500 bambini piccoli. Mancava anche l’acqua e i medicinali; e i soccorsi tardavano. Si cominciò a sperare che arrivassero dal cielo. Sul selciato della piazza Garibaldi vennero tracciate grandi fasce di tinta bianca e rossa. Da tutti gli edifici vennero esposte bandiere. Sembravano il segno di una grande festa, sventolavano soltanto una disperata speranza. la speranza che il tripudio dei colori vincesse la foschia, se gli aerei fossero apparsi in alto, e i lanci non finissero inghiottiti dall’acqua. Ma non apparvero gli aerei; a mezzogiorno e mezzo invece spuntò, in mezzo alla gialla distesa, la sagoma dell’anfibio staffetta. Per questo i nervi non si spezzarono.
L’anfibio non portava niente con se, ma portava la certezza che l’assedio era finito. I primi aiuti giunsero tre ore dopo. E arrivarono per via di acqua (…)
Alle tre e mezzo la foschia, che riduceva la visibilità a duecento metri, fu rotta da un raggio di sole ….. su quel raggio di sole si infilò un cacciabombardiere che pennellò un lancio magistrale. Piovvero sulla piazza Garibaldi 10 sacchi di viveri. Un altro aereo, un trimotore S. 82, imitò la manovra e fu paracadutato un pacco di medicinali e di steridrolo per la purificazione dell’acqua.. Era poca cosa per i 30 mila isolati nella città e nei comuni limitrofi, ma era l’inizio.(…)
I ventimila di Adria devono tutti evacuare al più presto. La città è sulla via delle acque, di tutta la marea che ha invaso il Polesine e che fatalmente dovrà andare all’Adriatico (…)
Lo sgombero è l’unica soluzione, anche perché i rifornimenti e il vettovagliamento con mezzi eccezionali non possono essere continuati per settimane.
I trentamila cominceranno a lasciare l’abitato domani mattina. Un nuovo esodo, un nuovo spettacolo tremendo di miseria e desolazione. (…)
L’angoscia è invece definitivamente alle spalle di Rovigo (…)
Niente era successo nella notte e ciò consigliava i rimasti alla tranquillità. Riaprivano dapprima timidamente i negozi indispensabili, poi anche i caffè e, sotto mezzogiorno, perfino un paio di barbierie. Sonavano a Messa le campane e la gente si ritrovava a bighellonare in piazza. Nel pomeriggio reparti di bersaglieri affrontavano la frana alla periferia e, con sassi e palizzate, tamponavano la falla. Il livello dell’acqua contro gli argini dell’Adigetto è sceso nella giornata quasi di un metro. L’acqua se ne va per una rotta lontana dalla città.
(Estratto da “Il Gazzettino di Rovigo” del 18 Novembre 1951)
In 48-50 ore, secondo il piano che i Comandi militari di Padova e Bologna, di concerto con la Marina, con il ministro Aldisio e le autorità provinciali hanno studiato, Adria sarà sfollata.
Dopo mille anni di storia viva, Adria diverrà una città morta. per due, per tre mesi almeno, seppur le acque si ritireranno, i suoi trentamila abitanti, che la amavano e la sognavano ridiventare città di traffici, di cultura, di opera, non vi potranno mettere piede. (…)
Tanto tempo questa gente dovrà rimanere lontana, quante cose care dovrà lasciare!
La città sarà data in consegna all’autorità militare (…)
Tutto sarà salvaguardato, tutto sarà difeso.
L’esodo comincerà per tempo e quest’opera di sgombero di una intera popolazione in così breve tempo attesta che i mezzi che saranno approntati sono indubbiamente imponenti.